Paolo, notoriamente egocentrista ed arrivista, sarebbe sicuramente divenuto sommo sacerdote ed avrebbe fatto guerra pur di dimostrare ed imporre il proprio “io”. Non guardava all’altro se non in funzione di se stesso. L’incontro con Cristo nella persecuzione verso i cristiani gli cambia la vita, o meglio, l’annuncio gli cambia la sua professione di fede: Gesù di Nazareth il crocifisso è stato risuscitato da morte e ora vive per sempre. È una notizia che costituisce scandalo tanto per gli ebrei quanto per i greci.
La novità del messaggio paolino è che lui mira ad evolvere gli antichi temi cardine del giudaismo, rileggendoli in chiave squisitamente cristiana, alla luce di quel Cristo morto sulla Croce come uomo e risorto quale Dio in grado di rinnovare l’umanità.
In questo Paolo è il reale fondatore della Chiesa, verso cui ha fissato con la sua logica, le fondamenta di ciò che nel tempo si costruirà. Il modo di agire di Paolo è quello di essere “tutto per tutti” (1Cor 9,22) e di non “conformarsi alla mentalità di questo secolo” (Rom 12, 2), perché chi annuncia, non diventi ostacolo per il vangelo (1Cor 10,32) e nello stesso tempo non si lasci trasportare dalla mentalità corrente, così da indebolire la “novità” evangelica.
Paolo si è interrogato sempre e solo su Cristo. Si sente inviato da Dio ai pagani per comunicare loro il mistero del Cristo incarnato, morto e risorto. Un mistero che cambia radicalmente la vita umana. In Gesù di Nazareth, infatti, il Dio glorioso si è fatto uomo obbediente fino alla morte e alla morte di croce per la salvezza eterna dell’umanità.
Conosciuto questo mistero, per grazia di Dio, non è possibile tacerlo agli altri, esso deve essere annunciato al mondo intero, con ogni lingua, in ogni cultura, con tutti i mezzi…, “dai tetti in su”. A ogni persona il compito di corrispondere a questo evento salvifico, accettando liberamente il suo mistero divino e il suo piano di salvezza nella
propria vita. Si tratta di una risposta d’amore, ecco perché Paolo non esita ad affermare: «L’amore di Cristo ci spinge, al pensiero che se uno è morto per tutti, tutti quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5,14s).