Tra i lettori di questo articolo, sono certo che ce ne sono tanti che potrebbero raccontare al mio posto le attività svolte per celebrare la festa di San Paolo nostro patrono di terza branca Rover. Fra questi probabilmente ci sei anche tu che, come me, tieni il cuore allenato nella costante preoccupazione per i ragazzi che ci sono stati affidati senza lasciare che le difficoltà e lo scoraggiamento ci spingano ad abbandonare le nostre responsabilità.
Per questo motivo anche noi del Roma Est, come altri dist
retti d’Italia, abbiamo voluto unire le nostre forze per offrire ai nostri clan un momento di incontro nella spettacolare cornice della Basilica di San Paolo fuori le mura in Roma. Questa scelta è stata presa per ridare slancio e vitalità al cammino comunitario e personale attraverso il linguaggio della bellezza artistica della Basilica che custodisce da sempre la memoria di San Paolo. La bellezza mette in marcia perché non si può possedere e consumare, la bellezza riaccende il desiderio di mettersi in cammino lasciandosi orientare dall’anelito più profondo presente nel cuore di ciascuno. L’esperienza che abbiamo fatto è proprio quella della meraviglia di chi spalanca gli occhi e rimane in silenzio, in un silenzio che rimanda sempre ad un al-di-là e fa sorgere spontaneamente la domanda sul perché di tanta bellezza.
Entrando in Basilica mediante l’ingresso laterale, attraverso il buio serale del chiostro dei monaci e la penombra degli stretti passaggi verso la sacrestia, la sensazione provata è stata ancor più forte. Si percepisce l’idea di uno spazio infinito che non può essere posseduto e rimanda perciò ad un oltre che è il Mistero di Dio rivelato nella vita e nella testimonianza di S. Paolo. Non è stato facile rompere quel silenzio iniziale in cui noi tutti eravamo caduti perché, come avrete capito, non era un silenzio obbligato dalla disciplina, ma da una indicibilità difronte alla vera bellezza. Anche solo
pronunciare una parola di benvenuto sembrava fuori luoghi ma, la presentazione della Basilica da parte di Federico (giovane monaco benedettino) è servita per prendere coscienza che la meraviglia in cui eravamo inseriti è una via aperta all’Incontro con Dio come la strada per Damasco è stata per Paolo lo spazio in cui accogliere la rivelazione che Dio gli fece.
Tutto in quel luogo parla della vita di Paolo per cui non è nemmeno necessario chiedersi se quelle catene custodite sotto l’altare siano le vere catene che lo incatenarono durante la sua prigionia romana. L’importante è che esse rimandino alla testimonianza di fede capace di generare un dinamismo di vita che supera ogni tempo e ogni spazio e giunge fino a noi.
Questa bellezza è quella che rende bella le nostre vite, è quella che rende bella la nostra città di Roma e il nostro Paese. Se dimenticassimo questa eredità non capiremmo più Roma e non la ameremmo più, saremmo presi dai tanti problemi e disservizi mancando di armonia. La testimonianza di Paolo a Roma insieme a quella di Pietro e di tanti altri santi è invece la vera ricchezza della nostra città e della nostra capitale. Questa bellezza e questa ricchezza ci accompagna nel pronunciare il nostro «si» all’invito a credere e fa sorgere quella gioia che è contagiosa e
che ci fa dire con Paolo “guai a me se non annunciassi il Vangelo” (1Cor 9,16). La meraviglia che i nostri occhi hanno potuto contemplare nel condividere insieme un momento così sentito, afferma la bellezza e il valore che siamo per meritarci una così grande premura espressa dal bello che ci viene offerto gratuitamente.
Riprendiamo ora il nostro cammino con entusiasmo nel senso letterale del termine en (in) theos (dio), ovvero «con Dio dentro di sé». Questo termine indica che, quando ci lasciamo prendere dall’entusiasmo, un’ispirazione divina entra dentro di noi e si serve della nostra persona per manifestarsi. Per cui con Paolo possiamo ripetere “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).