Nell’incantevole Valle delle Farfalle, chiamata Petalùda, tutte le creature vivevano in armonia: gli uccelli, gli insetti, i piccoli roditori e gli altri animali che abitano i prati e i bordi del bosco. E poi i fiori, migliaia di fiori tutti diversi, profumati e coloratissimi, che riempivano la grande conca circondata da dolci colline e boschi freschi d’ombra. E, naturalmente, le farfalle: con le loro ali dipinte di tinte luminose, facevano a gara con i fiori a risplendere di bellezza e gioia di vivere. Svolazzavano insieme da
un fiore all’altro, delicate come petali portati dalla brezza, tanto che, vedendole andare così insieme, pareva che fossero i fiori stessi, che staccatisi da terra per magia, provassero l’ebbrezza di volare per una volta anche loro.
Ma un giorno si sentì nell’aria un rumore insistente e sordo, un cupo ronzio. Una palletta nera cascò giù da un ramo sul limitare del bosco, andando ad atterrare proprio sul dorso di una farfalla che passava di lì. La povera farfalla, non riuscendo a reggere il peso di quell’ospite inatteso, piombò verso il basso.
“Povera me, che succede? Perché mi stai addosso?”
“Silenzio! Sollevati, sei proprio una pappamolla!” la voce era ronzante e rauca, molto antipatica.
La povera farfalla, con uno sforzo tremendo, cercò di sollevarsi un poco, ma le ali non la reggevano con quel peso in più e cominciò di nuovo a cadere verso il basso.
“Insomma, sei proprio una buona a nulla” disse la palletta e con un salto atterrò sulla groppa di un’altra farfalla che passava di lì. Ma molta della polvere delle ali della prima farfalla era rimasta attaccata alla fitta peluria nera che ricopriva il corpo del moscone. Sì, perché ecco che cos’era quella palletta: un moscone. La povera farfalla, privata della polvere, non riusciva più a rialzarsi e cadde a terra.
Il moscone, intanto, si era accomodato sulla schiena della seconda farfalla, un po’ più grossa, che, però, sotto quel peso, faticava a stare dritta. Il moscone la comandava a bacchetta e le tirava le antenne di qua e di là per farla andare dove voleva lui. E intanto sghignazzava.
Le farfalle intorno si scansavano impaurite dall’aspetto del moscone: non ne avevano mai visto uno e non si poteva dire che questo essere prepotente fosse molto piacevole da guardare. Aveva il corpo tondeggiante e ricoperto di peluria nera e, proprio in cima alla testa, cinque puntini giallo acceso, che parevano una corona. Ma la cosa più strana erano le ali: erano trasparenti e piene di venature, ma quella di sinistra era molto più corta dell’altra.
Ecco perché saltava in groppa alle farfalle! Da solo non poteva volare.
La farfalla che lo stava portando era stremata, ormai, dalla fatica e anche lei cominciò a perdere quota,
scendendo verso il basso. Con un altro salto il Principe Moscone si spostò, allora, su un’altra farfalla che passava di lì: non poteva volare, ma di salti ne faceva eccome! Per tutto il pomeriggio il Principe Moscone saltò da una farfalla all’altra, e ogni volta che ne lasciava una, quella finiva a terra senza più polvere sulle ali. Le farfalle, alla fine, capirono che l’unico modo per sfuggire al Principe Moscone era posarsi su un fiore e chiedergli di chiudere la corolla, per protezione, e così fecero, una dopo l’altra. Ma ormai era quasi scesa la sera e anche il Principe Moscone aveva deciso di risposare.
Dall’ultima farfalla balzò sul ramo di un cespuglio e lì rimase appollaiato, come in agguato. In realtà dormiva, ma le farfalle intorno, spaventate, non se ne erano nemmeno accorte, chiuse dentro i loro fiori.
Il giorno successivo, era appena spuntata l’alba, i fiori cominciarono uno dopo l’altro ad aprirsi al sole, assorbendo la luce e il calore per asciugare la rugiada notturna.
Le prime farfalle spiccarono il volo, avevano fame e dovevano vagare di fiore in fiore per trovare il nettare. Ma avevano appena cominciato a uscire timidamente dalle loro corolle che wam! Il Principe Moscone atterrò sulla sua prima vittima.
“Perché lo fai? Che ti ho fatto di male?”
“Mi servi per spostarmi, ma soprattutto non sopporto voi farfalle, così perfette e splendide, con le vostre ali variopinte. Se io non posso volare, non volerete neanche voi”.
La povera farfalla cominciò a calare verso il basso, non ce la faceva più, e molte altre fecero la sua fine, quel giorno. Ma qualche farfalla più sveglia, ne approfittò per fare rifornimento di nettare, portandolo tutto nel suo fiore-casa e presto si passarono parola: mentre il Principe Moscone era occupato a saltare di qua e di là, le altre farfalle riempirono le loro corolle di provviste e quando furono ben piene, si posarono sulle loro soffici case e chiesero ai fiori di chiudersi.
Il Principe Moscone, intanto, era saltato sul solito cespuglio per dormire. Quando, la mattina successiva spuntò il sole, i fiori rimasero chiusi. Le farfalle, all’interno delle loro corolle, per non sentirsi sole cominciarono a cantare.
Prima una, poi due, poi dieci, cento e poi migliaia, l’intera conca di Petalùda risuonava di un canto quale non si era mai sentito. Cantando, le farfalle si facevano coraggio e compagnia, si sentivano unite, sapevano che tutte insieme avrebbero potuto cacciare quel prepotente del Principe Moscone: se resistevano chiuse nei loro fiori, senza avere paura, quello poteva scordarsi le sue cavalcate sulle loro groppe e presto sarebbe rimasto senza mangiare. E così andò anche il giorno dopo. Alle prime luci i fiori si drizzarono sui loro gambi, ma senza aprirsi: era uno spettacolo strano, il prato punteggiato di bottoni colorati,
morbidi gusci ermeticamente chiusi. Una melodia soave si levò dal prato, note cristalline e tintinnanti, le farfalle parlavano cantando, si facevano coraggio, dicevano ‘Ancora un poco e passerà’.
Il Principe Moscone, pazzo di rabbia, smaniava sul ramo del cespuglio: non aveva niente da mangiare e poteva solo farsi cadere a terra, dove non avrebbe trovato di che nutrirsi. E poi quella musica, così melodiosa, era una tortura per le sue orecchie: quelle smorfiose delle farfalle non solo riuscivano a sfuggirgli, ma avevano trovato il modo di restare insieme in armonia. Così dopo che il sole si fu abbassato e alzato molte volte, il Principe Moscone, ormai senza forze, si lasciò cadere a terra e nessuno seppe mai più niente di lui. Le farfalle, non sentendo più l’odioso ronzio, provarono timidamente a sollevare un petalo o due. Le più coraggiose chiesero al loro fiore di aprirsi e fecero un breve volo di prova. Tutto bene! Allora intonarono un canto gioioso: ‘Aprite sorelle, uscite nel sole, il Principe Moscone è sconfitto e la vita è bella!’ gridavano facendo tintinnare
le loro voci di miele. E allora tutto il prato si sollevò in un’ondata di colore, come un mare alzato da venti favorevoli, e Petalùda
di nuovo brulicò di vita e di allegria.